La recente presa di posizione della Comunità Europea in merito alla
necessità di porre limiti stringenti alla rendicontazione degli assegni
di ricerca nell’ambito dei progetti con finanziamento comunitario,
rappresenta un’occasione per apportare affinamenti alla legge 240/2010
(c.d. Legge Gelmini), necessari non solo per consentire alla ricerca
italiana di non perdere ulteriormente competitività a livello europeo,
ma anche per consentire ai ricercatori di usufruire senza esclusione
alcuna di contratti di lavoro dignitosi.
Attualmente, la gran parte dei
ricercatori precari in Italia usufruisce di assegni di ricerca,
contratti di lavoro parasubordinato che, lo ricordiamo, non danno luogo a
tutele degne di questo nome, nemmeno nel caso di periodi di
disoccupazione (purtroppo molto frequenti). La discutibile presa di
posizione del Ministero del Lavoro sul fatto che gli assegnisti di
ricerca non abbiano diritto alla DIS-COLL rende evidente quanto siano
necessarie spinte “esterne”, affinché all’attività di ricerca dei
precari possa essere attribuito un degno riconoscimento, come nel resto
d’Europa.
Il Partito Democratico ha recentemente stilato un documento (la cosiddetta Carta di Udine), nel quale si auspica una riduzione del periodo di precariato per il ricercatore, con previsione di un massimo di 8 anni di durata per le posizioni pre-ruolo (a fronte dei dodici anni previsti attualmente dalla L. 240/2010, c.d. Legge Gelmini). L'Associazione dei Precari della Ricerca Italiani (APRI) esprime parere favorevole rispetto a tale indirizzo, ma nel dettaglio è critica riguardo al fatto che l’attuale proposta del PD prevedrebbe un allungamento della specifica forma contrattuale a tempo determinato che prelude direttamente all’immissione in ruolo (dagli attuali 3 anni, ai proposti 5 anni). E’ fondamentale sottolineare che, a normativa vigente, il combinato disposto della L. 240/2010, Art. 24, c. 3 e del D.M. 344/2011, Art. 2, c. 1 fa sì che la tenure-track italiana sia in media già tra le più lunghe al mondo, con un minimo di 6 anni di periodo “di prova”, fino ad un massimo che in linea teorica non ha limiti. In questa fase storica, in cui migliaia di precari si avvicinano più ai cinquanta che ai quarant’anni, le commissioni che saranno chiamate a valutare i ricercatori a tempo determinato di tipo B (ovvero in tenure-track) potrebbero effettivamente trovarsi nella situazione di dover giudicare i candidati sulla base di CV lunghi diversi lustri, in vista dell’immissione in ruolo come Professori Associati. Se, come APRI spera, il PD intende davvero investire sulla ricerca e arrestare l’attuale tendenza allo sfruttamento dei precari, allora non si comprende come possa essere oggetto di discussione un eventuale allungamento del contratto RTD-B.
Il Partito Democratico ha recentemente stilato un documento (la cosiddetta Carta di Udine), nel quale si auspica una riduzione del periodo di precariato per il ricercatore, con previsione di un massimo di 8 anni di durata per le posizioni pre-ruolo (a fronte dei dodici anni previsti attualmente dalla L. 240/2010, c.d. Legge Gelmini). L'Associazione dei Precari della Ricerca Italiani (APRI) esprime parere favorevole rispetto a tale indirizzo, ma nel dettaglio è critica riguardo al fatto che l’attuale proposta del PD prevedrebbe un allungamento della specifica forma contrattuale a tempo determinato che prelude direttamente all’immissione in ruolo (dagli attuali 3 anni, ai proposti 5 anni). E’ fondamentale sottolineare che, a normativa vigente, il combinato disposto della L. 240/2010, Art. 24, c. 3 e del D.M. 344/2011, Art. 2, c. 1 fa sì che la tenure-track italiana sia in media già tra le più lunghe al mondo, con un minimo di 6 anni di periodo “di prova”, fino ad un massimo che in linea teorica non ha limiti. In questa fase storica, in cui migliaia di precari si avvicinano più ai cinquanta che ai quarant’anni, le commissioni che saranno chiamate a valutare i ricercatori a tempo determinato di tipo B (ovvero in tenure-track) potrebbero effettivamente trovarsi nella situazione di dover giudicare i candidati sulla base di CV lunghi diversi lustri, in vista dell’immissione in ruolo come Professori Associati. Se, come APRI spera, il PD intende davvero investire sulla ricerca e arrestare l’attuale tendenza allo sfruttamento dei precari, allora non si comprende come possa essere oggetto di discussione un eventuale allungamento del contratto RTD-B.
In tale contesto, APRI propone i seguenti quattro provvedimenti per un’azione efficace di modifica della legge Gelmini:
- Abolizione degli assegni di ricerca negli Atenei
- Modifica della durata possibile per i contratti di ricercatore a tempo determinato di tipo A (RTD-A, che come noto non prevedono una valutazione finale per l'accesso al ruolo): da uno a tre anni, rinnovabili fino a max. 5 anni complessivi nella stessa sede.
- Riduzione del carico didattico in capo all'RTD-A: esclusione di obblighi di didattica frontale e previsione di sole attività di insegnamento integrativo e di servizio agli studenti, per un massimo di 175 ore (la metà delle ore annuali attualmente previste)
- Possibilità di accesso ai concorsi per RTD-B a tutti gli studiosi in possesso dell'Abilitazione Scientifica Nazionale
Tale proposta è di facile applicabilità in quanto richiede solo piccole variazioni della L. 240/2010, vedi QUI, ed una sua attuazione sarebbe quindi molto meno traumatica di una nuova riforma profonda del sistema di reclutamento accademico (che arresterebbe l’ormai già lentissima macchina dei concorsi per posizioni accademiche, con effetti nefasti soprattutto sui più deboli, ovvero sui precari). Inoltre, se attuata tale proposta responsabilizzerebbe le sedi universitarie, che non potrebbero più sostenere interi Corsi di Laurea con contratti di ricercatore privi di concrete prospettive di stabilizzazione, ed infine renderebbe l'RTD-A la figura contrattuale di riferimento per il giovane ricercatore, anche nell'ambito di progetti finanziati dalla Comunità Europea. Ciò finalmente garantirebbe ai ricercatori post-dottorali tutte le tutele ed i diritti propri del lavoratore subordinato a tempo determinato, come già avviene nelle migliori esperienze europee, permettendo loro di raggiungere livelli salariali paragonabili, ad esempio, a quelli dei post-doc spagnoli. Con questa proposta, APRI intende offrire una prospettiva realistica e al contempo sostenibile, per il miglioramento dei meccanismi di reclutamento nel sistema universitrio nazionale.
Ulteriori precisazioni:
- Nel presentare tale proposta, APRI richiede con forza l'immissione di risorse economiche aggiuntive nel sistema universitario, affinché il numero annuo di bandi per ricercatore a tempo determinato raggiunga livelli analoghi agli assegni di ricerca oggi banditi dalle università.
- Nel proporre l' "accesso ai concorsi per RTD-B a tutti gli studiosi in possesso dell'Abilitazione Scientifica Nazionale" (proposta al punto 4), APRI intende fornire una ulteriore via di accesso a tali bandi e nel contempo sanare una evidente contraddizione nel sistema attualmente in vigore (il possesso di ASN per la seconda fascia della docenza è già condizione sufficiente per la partecipazione ai concorsi per Professore Associato ma non lo è per RTD tipo b). Questa possibilità in più di partecipazione si aggiungerebbe alle altre già previste dalla L. 240/2010, in particolare la possibilità di poter concorrere ad bandi per RTDb ove in possesso di tre anni di RTDa ovvero di assegno di ricerca pre-Gelmini.
- Per quanto concerne l'accesso ai concorsi per RTD tipo b (tenure track), APRI incoraggia lo studio di una ulteriore semplificazione della L. 240/2010 al fine di consentire la partecipazione a tutti coloro che hanno tre anni di regolare contratto di ricerca Post Doc indipendentemente dalla specifica forma contrattuale, similmente a quanto già previsto per i contratti all'estero. Cio' consentirebbe la partecipazione ai concorsi per RTDb anche a coloro che hanno svolto attività di ricerca con contratti di tipologia diversa dall'Assegno di Ricerca pre-Gelmini ovvero dal RTDa (ad esempio Co.Co.Co., finanziamenti regionali, borse di studio da privati...). Inoltre, nell'equiparare i contratti all'estero, APRI invita a sanare l'attuale contraddizione che prevede l'equiparazione dei soli contratti in "atenei" esteri, sostituendola con "atenei e centri di ricerca all'estero". Questa contraddizione nella nostra normativa fa sì che tre anni di Post Doc (o altri contratti) presso prestigiosi Centri di Ricerca internazionali (quali ad esempio il CNRS, i Max Planck Institutes, il CERN di Ginevra, la NASA, i National Laboratories americani come Berkeley o Los Alamos) non siano oggi sufficienti a partecipare ad un concorso per RTDb in Italia mentre lo sono tre anni di Post Doc in una qualsivoglia università all'estero.