Come si può leggere, appare chiaro che da parte del Partito Democratico vi sia la chiara intenzione di rilanciare il sistema universitario italiano, nonostante le note difficoltà nel reperimento di fondi dovute alla severa congiuntura economica italiana. Ci auguriamo però che il PD possa esprimere una risposta più articolata sulle strategie che intenderà adottare per il reclutamento di nuove leve, anche e soprattutto in termini di allocazione delle risorse da dedicare ai precari meritevoli.
In particolare, attendiamo ancora una risposta sul punto 2. riguardante il “ricambio generazionale” e la relativa proposta di bilanciamento delle quote di strutturati e non strutturati, che per noi costituisce un punto fondamentale delle nostre richieste alle forze politiche. Se si evita di parlare di reclutamento e in particolare di apertura del reclutamento ai ricercatori non strutturati, dopo che gli attuali “piani straordinari per professore associato” sono stati concepiti a beneficio pressoché esclusivo dei ricercatori a tempo indeterminato, tutto il resto rischia di assumere un’importanza secondaria.
Ecco la risposta della professoressa Carrozza:
Gentile Presidenza dell’APRI,
abbiamo letto con attenzione il vostro contributo alla definizione di un
programma per l’università e la ricerca italiana. Siamo convinti che il dialogo
tra la politica e i ricercatori non sia una opzione tra le altre, ma
il punto essenziale per l’elaborazione di provvedimenti condivisi. Per questo è
fondamentale il lavoro di ascolto di realtà come la
vostra, che abbiamo cercato di intraprendere in questi anni con il Forum
Università e Ricerca del Partito Democratico, e che riteniamo essenziale per
l’azione di governo.
Partiamo da alcune considerazioni di fondo per discutere in seguito, nello
specifico, alcune tra le vostre proposte. Davanti
alla fallimentare esperienza della “riforma Gelmini”, è essenziale riconoscere
che il cambiamento nel campo dell’istruzione e della ricerca non può giungere
da un attacco continuo, e spesso propagandistico, alle persone impegnate nelle
istituzioni della conoscenza. Né può giungere da un impianto normativo sempre
più burocratico, ipercentralista e iperdirigista, che, specie a partire dal
2008, è stato esclusivamente funzionale all’obiettivo dichiarato di indebolire il sistema pubblico dell’istruzione
superiore, ritenuto – a torto – troppo dispendioso e troppo diffuso
territorialmente. Il cambiamento viene piuttosto da un’analisi schietta (perché
la crisi ce lo impone) delle patologie e delle difficoltà, per elaborare una
diagnosi, per trovare una cura e soprattutto per determinare il rilancio
dell’università e della ricerca.
Sappiamo che
l’orizzonte europeo sarà fondamentale per il governo che uscirà dalle urne a
fine febbraio. La Strategia Europa2020 punta al raggiungimento del 40% di
laureati entro il 2020, mentre noi siamo poco sopra il 20%, contro una media europea di circa il 32,5%.; ci chiede
di arrivare a meno del 10% di dispersione scolastica, e noi siamo vicini al
19%, con punte molto più alte nel Sud e nelle isole, mentre la media europea è
al 14%. Il Piano Nazionale di Riforma 2011 indica obiettivi inferiori rispetto
non alle ambizioni europee per il 2020, ma alle medie europee del 2010: il
26-27% di laureati, il 15-16% di dispersione scolastica. Non dobbiamo mai
dimenticare che “essere in Europa” significa essere all’altezza di questi
obiettivi con le nostre politiche pubbliche. Non si tratta di perseguire
obiettivi irrealistici, ma, mentre si parla di “crescita”, non perdere mai di
vista, nell’azione di governo, il legame essenziale tra crescita, università e
ricerca. Che cosa significa, allora,
“centralità dell’istruzione e della ricerca”? Come si evince dal Rapporto
Giarda, l’Italia negli ultimi 20 anni ha ridotto enormemente il totale della
spesa pubblica destinata all’istruzione, che è passato dal 23,1% della spesa
del 1990 al 17,7% della spesa nel 2009 (-5,4%). Una pianificazione che è
avvenuta in “deficit democratico”, perché non è mai avvenuta una scelta
trasparente in merito a tale disinvestimento, che non ha paragone in nessun
altro comparto della spesa dello stato. Per questo è necessaria, oggi più che
mai, un’inversione di tendenza. Il nostro impegno sulle risorse è quello di una
netta discontinuità, con un
rifinanziamento pluriennale del sistema universitario per
riequilibrare lo sciagurato ‘taglio’ del Governo Monti di 300mln di euro del
FFO e ripristinare almeno la situazione del 2012 (circa 7mld di euro). È
necessaria una graduale convergenza, con una progressione pluriennale, verso
media UE.
Quest’inversione di tendenza deve investire le
prospettive dei ricercatori che, come notate, hanno subito la riduzione
dell’offerta formativa delle università, vedendo una crescita costante del
precariato nella didattica e nella ricerca. L’elefante nella stanza, come
ricordate nelle vostre considerazioni, è il blocco del turn-over. È perciò necessario intervenire su questo punto,
ma nell’ottica di un cambio di prospettiva che prevede, su pre-ruolo, reclutamento e carriere, lo
stop al precariato, contratto unico, un vera tenure track (problema essenziale che ponete nell’introduzione e al
punto 4) e ruolo unico di docenza. Il nostro programma prevede una
semplificazione delle figure pre-ruolo, concentrando tutte le figure post-doc in due tipologie: un Contratto
unico di ricerca e posizioni di professore junior in tenure track (percorsi a tempo determinato che prevedano fin
dall'inizio la possibilità di arrivare, previe periodiche valutazioni
favorevoli, all'inserimento stabile nei ruoli universitari). È inoltre
necessario sbloccare le risorse per i giovani e separare reclutamento e
avanzamenti. Si deve investire sulla mobilità, estendendo progressivamente l’efficacia delle disposizioni anti inbreeding (come nel vostro
punto 5), puntando verso un sistema di tipo tedesco e impedendo lo svolgimento
di tutta la carriera sempre nella stessa sede.
Dobbiamo assolutamente modificare gli
attuali meccanismi di allocazione dei punti organico che favoriscono le
promozioni dei candidati locali a scapito delle assunzioni di professori
dall’esterno. Servono bandi nazionali per
posizioni post-doc e di tenure track
che offrano ai vincitori il budget economico e i fondi di ricerca, lasciando
loro la possibilità di scegliere in autonomia l’ateneo presso il quale svolgere
la propria attività (escluso l’ateneo di origine), consolidando il budget
legato alla posizione nel FFO.
Per quanto riguarda i
programmi di “rientro dei cervelli” che toccate al punto 2, si tratta di attuare
programmi che possano definirsi di vera “circolazione dei cervelli”. Nel
sistema globale e interconnesso della ricerca, l’attrazione non riguarda tanto i giovani “perduti” che “devono” tornare,
ma i talenti di qualsiasi nazionalità che devono sentirsi accolti in Italia.
Tra le nostre proposte (nel dettaglio qui
in appendice, in un documento che contiene anche il programma ambizioso di
potenziamento dell’Erasmus, che oggi interessa solo l’1% degli studenti
italiani): Valorizzare in sede concorsuale, come già accade in alcuni settori,
le esperienze di insegnamento e ricerca all’estero; incentivare gli
insegnamenti in lingua straniera per stimolare le università a chiamare
studiosi con esperienze in atenei e centri di ricerca stranieri; bandire
posizioni nazionali per ricercatori post-doc (con possibilità di scegliere in
autonomia l’ateneo presso il quale svolgere la propria attività) rivolti anche
a studiosi stranieri; lavorare per l’equipollenza e riconoscimento dei titoli
all’estero per i titoli accademici nello spirito di creare uno spazio europeo
di istruzione superiore. Attivare un sistema di “cattedre condivise”, sul
modello di quelli già esistenti in Paesi stranieri, nell’ambito del quale sia
possibile assegnare a studiosi (italiani e stranieri) che insegnano presso
università straniere una parte variabile di una cattedra. Rendere più competitivo il sistema dei compensi (il che si lega
alla questione da voi posta al punto 6): previsione di basi retributive
adeguate per tutte le attività post-doc, incremento della parte variabile della
retribuzione dei docenti strutturati.
La vicenda dell’ANVUR, che a nostro
avviso va affrontata tenendo conto della sproporzione tra i compiti
dell’agenzia (che non hanno pari in altri paesi paragonabili al nostro) e il
suo personale, oltre alla questione della dipendenza dal MIUR, va inquadrata in
un’idea di valutazione che, proprio perché fondamentale, deve essere meno
fondata sulla burocrazia. E
correggere i difetti burocratici è essenziale anche per le questioni da voi
poste, nello specifico, sulla ricerca. Facciamo un esempio concreto, che a
nostro avviso punta a cambiare un sistema MIUR-MiSE con cui si scontrerebbero
gli stessi uffici da voi proposti al punto 8. Come abbiamo
spiegato nel dettaglio qui
a partire dalle esperienze di ricercatori come voi, è essenziale adottare in
Italia il “diritto alla semplicità”, basandosi sulle buone pratiche che
caratterizzano le grandi agenzie di finanziamento della ricerca europee e
straniere. Per esempio, nell’esperienza UE, i ricercatori si rivolgono a un
unico portale, aggiornato e condiviso, per tutta
la documentazione utile, a un solo portale per tutte le
informazioni e gli strumenti utili, e possono presentare la proposta
on-line, senza bisogno di firme. Durante la fase di valutazione della proposta,
si dà maggiore importanza al contenuto tecnico-scientifico, alla proposta di
implementazione e all’impatto atteso rispetto agli aspetti burocratici. È
quindi essenziale superare l’ottica “ragionieristica” o “burocratica” e non
improntato all’innovazione. Di conseguenza, sui deve cambiare profondamente
l’approccio delle strutture ministeriali.
L’ultima vostra proposta (punto
10) è in linea con un elemento presente da tempo nel programma del PD (nel
programma approvato dall’Assemblea Nazionale nel 2010, così come nelle
raccomandazioni all’ultimo governo): l’istituzione di un’Agenzia di programmazione e finanziamento della ricerca che esprima le
posizioni del governo e del parlamento sulle priorità della ricerca. L’Agenzia
deve puntare sull’accelerazione delle procedure e sul rispetto dei tempi dei
progetti di ricerca e deve svolgere allo stesso tempo un’attività di
road-mapping università-politica-impresa. Necessita di funzionari di livello
adeguato che siano formati sulla ricerca internazionale e abbiano conseguito il
dottorato di ricerca. Dobbiamo inserirci in Europa, con un sistema di
programmazione e finanziamento della ricerca adeguato ad un sistema europeo (e
che quindi possa contribuire a una strategia rilevante per il punto 9). Lo European Research Council ci indica
esattamente il metodo migliore da adottare per valutare e finanziare la
migliore ricerca, che deve essere valutata per la sua eccellenza
scientifica senza le assurde regole attuali applicate nelle selezioni dei
PRIN.
Ringraziandovi ancora per il vostro contributo, ribadiamo la nostra
convinzione sulla necessità di ridare speranze e risorse a tutte le persone che
“fanno” la ricerca italiana ogni giorno. Università e ricerca per noi non sono
la “ciliegina sulla torta” o il “fiore all’occhiello” dell’economia italiana:
sono e devono essere la base di ogni ragionamento credibile di governo sullo
sviluppo e sul futuro del nostro paese.