
La riforma della P.A. ora in discussione alla Camera introduce la possibilità di prepensionare i docenti universitari con piena anzianità contributiva al raggiungimento del 68esimo, e al 62esimo per i ricercatori, secondo l'ultimo emendamento.
Si tratta, a tutti gli effetti, di una norma che non danneggia i singoli che possono così ritirarsi con una pensione piena. Peraltro è un età coerente con le politiche comunemente diffuse sul continente europeo, dove i 65 anni sono l'età media per la pensione dei docenti universitari.
Sappiamo (anche se alcuni fingono di dimenticarlo) che, secondo tutti i dati a disposizione, l'Italia ha la popolazione accademica più vecchia d'Europa e che da molti anni il ricambio generazionale è ridotto al lumicino. Dunque il prepensionamento - non ledendo i diritti dei singoli - potrebbe offrire una boccata di ossigeno alle generazioni più giovani, contribuendo a svecchiare l'intero sistema.
Abbiamo scritto potrebbe, perché il problema è che attualmente il turnover è vincolato al solo 50% delle risorse. Quindi, con gli attuali equilibri il prepensionamento comporterebbe una perdita secca di metà delle risorse per il sistema tutto.
Ci sono parse lucide e ispirate le recenti dichiarazioni del Ministro Madia che ha osservato come sia necessario un innalzamento del turnover per i comparti di Università e Ricerca, da troppo tempo penalizzati da politiche miopi. Speriamo dunque che trovino attuazione al più presto.
Dall'alto lato della barricata, vecchi e illustri studiosi si sono espressi con veemenza contro questa norma, lamentando ad esempio che ci sarebbe una perdita secca di cultura e di competenze. Crediamo non sia così, perché tutti sono utili e nessuno è insostituibile, perché ci sono tantissime competenze ed energie soffocate tra i giovani che potrebbero e dovrebbero essere liberate, perché infine nulla vieta ai prepensionati di continuare a collaborare in altre forme allo sviluppo della ricerca, magari in qualità di professori emeriti.
Pertanto chiediamo:
1. Di non arretrare di fronte alle reazioni baronali e di perseguire coerentemente la strategia del prepensionamento.
2. Di rendere il suddetto prepensionamento obbligatorio e non facoltativo come è attualmente nel testo della riforma della P.A.
3. Di vincolare le risorse così liberate all'assunzione di Ricercatori a Tempo Determinato di TIPO B (con tenure track).
4. Di liberare il turnover, tornando al 100%.
In assenza di queste misure il prepensionamento rischia di essere non una mossa utile per migliorare e ringiovanire il sistema della ricerca, bensì l'ennesimo colpo ad un apparato universitario da anni martoriato dai tagli.