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Lo straordinario risultato elettorale del M5S alle elezioni politiche ha
posto al centro dell'agenda politica nazionale uno dei problemi più
gravi della società italiana: la divisione sempre più profonda e sempre
più insopportabile tra chi è pienamente garantito, in ambito lavorativo e
sociale, e chi è privo di tutele, abbandonato dalle istituzioni e dalle
rappresentanze politiche e sindacali. Come APRI e altre associazioni di
precari della ricerca, sono anni che denunciamo questa situazione,
aggravata dai guasti prodotti dalla Legge Gelmini. L’università italiana
è spaccata in due blocchi. Da un lato, un blocco A composto di decine
di migliaia di ricercatori e docenti precari, che non hanno prospettive
credibili di ottenere una posizione sicura che garantisca loro di
guardare con serenità al futuro. Quelli che possono fanno le valigie e
vanno a fare carriera all’estero. Quelli che non possono restano qui, ma
perdendo l’entusiasmo e le motivazioni che sono fondamentali per
produrre ricerca di qualità. Dall’altro lato, c’è il blocco B, composto
da ricercatori a tempo indeterminato e professori di ruolo, che
occupano posizioni ultragarantite e di fatto inamovibili. Il precedente
governo ha riservato nuove risorse per assumere professori di seconda
fascia, ma è chiaro a tutti che con le attuali regole e con le pressioni
esercitate dal blocco B, tale piano straordinario di reclutamento si
tradurrà solo in avanzamenti di carriera per i ricercatori di ruolo.
Inoltre, i professori associati e ordinari vanno in pensione solo a 70 anni, e ciò
crea ulteriori impedimenti al ricambio generazionale e rende la classe
docente italiana la più anziana del continente. APRI è da sempre
convinta che l’età giusta per il collocamento a riposo dei professori di ruolo sia 65 anni, in linea con la media europea; APRI inoltre ha
avanzato alle forze politiche 10 proposte (
http://ricercatoriprecari.blogspot.it/2013/01/per-ridare-speranza-alla-ricerca.html)
per ridare speranza al blocco A, oggi discriminato ed escluso, ma le
forze politiche hanno risposto eludendo le questioni centrali,
probabilmente perché il loro principale obiettivo è la difesa dei
garantiti del blocco B (si veda ad esempio la
risposta che ci è stata
inviata da Maria Chiara Carrozza, presidente del Forum Università e
Ricerca del PD). Insomma, le porte restano chiuse per il blocco A, anche
quando chiede valutazione e competizione meritocratica per i posti,
come abbiamo fatto noi. Ciò induce allo scoramento, alla sfiducia
completa nelle istituzioni, lasciando come unica possibilità il ricorso a
soluzioni assistenzialistiche e corporative, le uniche che la classe
politica tradizionale in passato ha adottato per il blocco A, per
tenerlo sotto controllo e utilizzarlo come bacino di consensi
elettorali.
Il quadro politico sembra però ora profondamente cambiato, e nuove prospettive potrebbero aprirsi per l'Università e la ricerca pubblica italiane. APRI intende proseguire
sulla strada tracciata verso il raggiungimento dei propri obiettivi, per
l’apertura al merito, per l’internazionalizzazione, per ridare
speranza. APRI intensificherà il proprio dialogo col mondo politico,
perché mai come in questo momento il nostro messaggio potrà risultare
efficace contro rivendicazioni corporative che, se nuovamente
assecondate dalla politica, potranno solo spingerci verso il baratro che
il Paese già intravede.