Abbiamo davanti una fase quanto mai difficile per i ricercatori precari italiani, che devono fare i conti con un quadro generale di assottigliamento delle speranze e possibilità concrete di ottenere un posto stabile in tempi ragionevolmente brevi. Questa situazione è l’effetto congiunto della Legge Gelmini, che ha soppresso le posizioni di ricercatore a tempo indeterminato sostituendole con figure precarie (gli RTDa) o ancora rimaste sulla carta (gli RTDb), e delle pressioni esercitate nei mesi scorsi dal personale strutturato di ruolo (ricercatori e associati) che hanno preparato il terreno per quella che sarebbe l’ennesima, catastrofica promozione ope-legis dell’università italiana.
Incontriamo dunque Claudio Greco, candidato alla presidenza di APRI. Claudio, 32 anni, è un chimico teorico appena rientrato in Italia per iniziare un contratto di ricercatore a tempo determinato (di tipo A manco a dirlo) presso l’università di Milano Bicocca.
Claudio, in bocca al lupo, innanzitutto. Perché hai deciso di candidarti alla presidenza di APRI?
Crepi il lupo! La mia candidatura alla Presidenza
dell'APRI rappresenta la logica conseguenza di un percorso
che mi ha portato ad apprezzare le linee guida
dell'associazione fin dalla sua fondazione. L'idea di
portare l'Università italiana verso gli standard di paesi quali Germania e Svezia (nazioni in cui ho avuto la
fortuna di lavorare) rappresenta l'unica possibilità per
garantire un futuro di successo alla nostra Accademia. L'attuale situazione di difficoltà per il sistema
universitario potrà senz'altro venire superata, se si diffonderà una logica meritocratica nell'attribuzione di
risorse e posizioni. Credo che questo momento di crisi per
l'Italia intera richieda uno sforzo corale a tutti i
livelli, ed il settore della ricerca e dell'alta
formazione dovrà senz'altro fare la propria parte nei
prossimi anni.
Ci racconteresti le tappe salienti del tuo percorso di ricerca?
Dopo essermi laureato in Biotecnologie all'Università Milano-Bicocca, ho conseguito il dottorato in Chimica presso la medesima Università nel 2007. Durante il dottorato, ho trascorso un fruttuoso periodo all'Università di Lund (Svezia), dove ho applicato metodiche avanzate di modellizzazione teorica di proteine contenenti ioni metallici. Tale ambito di ricerca ha caratterizzato il mio percorso scientifico anche nei miei anni da post-doc. Ho avuto l'onore di essere stato selezionato per una fellowship della Fondazione Humboldt, grazie alla quale ho lavorato presso il Dipartimento di Chimica della Humboldt-Universitaet zu Berlin; successivamente sono stato per due anni assegnista di ricerca a Milano, e poi di nuovo presso la Humboldt-Universitaet, in qualità di Junior Research Group Leader in Chimica Teorica Bioinorganica.
Che effetto fa tornare in Italia in questo momento così
difficile per il paese e l’università e in particolare
per i ricercatori precari?
Mi aspettano sfide difficili, lo so bene. Ma l'idea di poter contribuire ad un rilancio del mio Paese, e di poter diventare un punto di riferimento per i miei colleghi precari rappresenta per me una fonte, spero inesauribile, di motivazioni.
La tua disciplina, la chimica teorica, è una disciplina
rigorosamente “bibliometrica”. Come giudichi i criteri di
valutazione stabiliti dall’ANVUR nel tuo settore per le
prossime abilitazioni?
I criteri bibliometrici nel mio settore risultano
abbastanza selettivi, anche se i parametri scelti mi piacciono poco in generale. Per esempio, non distinguono
tra chi ha avuto un ruolo centrale nei vari studi (principal investigator o coordinatore), e chi invece ha
avuto un'importanza più marginale. Comunque, è il concetto stesso di abilitazione nazionale su base bibliometrica
che, a mio avviso, va rivisto.
Il tuo contratto di ricercatore a tempo determinato è appena iniziato. Con quale animo inizi questa esperienza
di lavoro?
In realtà prenderò servizio il primo di Novembre, ma grazie alle mie ferie tedesche arretrate sono già qui in
Dipartimento a Milano... credo che questo dica molto sul
mio entusiasmo: non vedo l'ora di cominciare!
Tu sei stato ricercatore con ruoli di responsabilità in
Germania, precisamente alla Università von Humboldt di
Berlino. Come credi di far fruttare tale esperienza nel tuo nuovo lavoro italiano?
Aver osservato le dinamiche alla base dell'attività di Professori e Ricercatori a Berlino rappresenta un bagaglio importante per me: in Germania, la volontà di eccellere nei propri rispettivi ambiti è sempre un elemento fondamentale sia per i singoli scienziati che per i
dipartimenti in cui operano. La medesima atmosfera l'ho potuta respirare nel mio (seppur breve) soggiorno svedese. Sono convinto che tali esperienze costituiscano una risorsa importante per il futuro di APRI.
A tuo parere, quali sono le linee di azione su cui APRI dovrà insistere di più?
Per prima cosa, credo sia necessario assicurare l'erogazione di risorse per bandire un adeguato numero di posizioni di ricercatore a tempo determinato di tipo B, che offrirebbero la possibilità ai migliori studiosi
italiani e stranieri di operare nel nostro paese con la
prospettiva di essere valutati sulla base della loro
attività scientifica e didattica, in vista di un possibile
accesso ai ruoli accademici. Poi, come dicevo, un'ampia
revisione dei meccanismi alla base delle procedure di
abilitazione nazionale è a mio avviso necessaria.
Personalmente, riterrei opportuno piuttosto introdurre
rigorose procedure di valutazione ex-post dei
dipartimenti, poiché ciò favorirebbe dinamiche virtuose
per il reclutamento dei futuri docenti. Infine, auspico la
valorizzazione delle esperienze di didattica e ricerca dei
precari nel contesto di concorsi pubblici diversi da quelli per la docenza universitaria.
Le elezioni politiche si approssimano. Quale rapporto credi che APRI debba tenere con i partiti politici? Come far sentire la propria voce e cercare di influenzare i programmi senza essere strumentalizzati per fini elettorali?
Negli ultimi anni, uno dei termini più ricorrenti nei notiziari è “crisi”, ma tra i più gettonati vi è
senz'altro anche “meritocrazia”. Il dialogo con la
politica sarà un elemento centrale per il successo di APRI: la necessità di meritocrazia per la sopravvivenza del Paese è ormai ben evidente non solo ai nostri soci, ma
anche alla gran parte degli italiani. Una strategia di
comunicazione efficace, basata soprattutto sull'uso della
grande rete, ci permetterà di smascherare eventuali tentativi di strumentalizzazione sul nascere.