Ricercatore fondazione Bruno Kessler - Professore a contratto Università di Padova.
tratto dal blog mentepolitica al link:
http://www.mentepolitica.it/articolo/la-generazione-mai-i-precari-della-ricerca/60
C’è un fantasma che si aggira per i corridoi delle università italiane, quello di una generazione che non è mai stata.
Nati negli anni Settanta, studenti negli anni Novanta, questi spettri
tra i trenta e i quarant’anni sono un paradosso vivente. Sono il primo
segmento generazionale che ha fruito in modo massiccio dei dottorati di
ricerca e di un sistema di borse ancora relativamente ricco. E
costituiscono anche il primo gruppo anagrafico ad aver avuto
compattamente la possibilità di vivere buone esperienze internazionali.
Per un giovane studioso impegnato in una ricerca di buon livello, tra
gli anni Novanta e i primi anni Duemila, trascorrere un soggiorno
all’estero, candidarsi per partecipare ad un convegno internazionale,
tentare di pubblicare su una rivista straniera non era solo una patente
di nobiltà accademica, era quasi un obbligo morale. Ciò non significa
che tutti abbiano fatto tesoro di queste opportunità, ma ci sono pochi
dubbi che i trentenni e quarantenni che hanno affollato le selezioni per
dottore di ricerca, e successivamente per borsista, assegnista e magari
ricercatore rappresentino l’insieme mediamente più qualificato e
dinamico che l’università italiana ricordi.
Nel migliore dei mondi possibili questa generazione di studiosi, costati molto
alla collettività, sarebbero stati sistematicamente selezionati per
permettere ai più bravi di occupare a loro volta una posizione da
ricercatore o professore, restituendo al paese quanto avevano imparato,
in termini di insegnamenti, scoperte, brevetti e idee.
In un mondo meno perfetto …
In un mondo un po’ meno perfetto, una parte rilevante di questi ex
giovani studiosi, per quanto bravi, non avrebbero trovato una
sistemazione. Se non altro, per l’innata tendenza di ogni corporazione a
introdurre criteri di promozione (o cooptazione) che spesso non hanno
molto a che fare con merito, innovazione e originalità. Succede ovunque.
Chi pensa che nelle università e negli enti di ricerca francesi,
tedeschi, britannici o statunitensi nepotismi e favoritismi di varia
natura non allignino, è un arcade che si culla in sogni poetici.
Ma sulla scala ipotetica degli iperurani perfetti, dei mondi
imperfetti e di quelli così così, il reclutamento universitario italiano
degli ultimi due decenni si colloca molto in basso, più o meno al
livello del peggiore degli universi pensabili. In Italia la selezione
(esclusivamente) nepotistica e/o clientelare non è stata una delle vie
possibili, è stata la via di accesso alla professione
accademica, con l’eccezione di alcune minoranze che hanno difeso il
fortilizio della qualità. Per spiegare questo suicidio collettivo si
potrebbero chiamare in causa molti fattori. L’introduzione di un
reclutamento su base locale ha certamente giocato la sua (cattiva)
parte, trasformando i concorsi accademici in una permanente guerra per
bande, fuori da ogni controllo. Non paradossalmente, quando il
legislatore ha reintrodotto una forma di pre-selezione centralizzata,
l’Abilitazione Scientifica Nazionale, l’impatto sul sistema è stato
immediatamente e complessivamente positivo. L’ASN (che non è un
concorso, ma un’abilitazione a numero aperto, differenza che un certo
giornalismo sciatto fa fatica a comprendere) ha certo molti difetti, e
alcuni giudizi sui candidati sono stati ingiusti e formulati in termini
inutilmente offensivi, ma è l’unico strumento che abbia finalmente
concesso la possibilità di scremare con criteri coerenti e verificabili
la massa degli aspiranti alla carriera accademica.
Una svolta tardiva e contestata
Peccato che questa (potenziale) svolta sia arrivata tardi per quelle
migliaia di giovani studiosi che attendevano da vent’anni. Che hanno
percorso l’annosa trafila delle posizioni precarie, dalle borse biennali
(e poi annuali, semestrali) agli assegni di ricerca ai co.co.co. Che
sono stati professori a contratto sostenendo l’impalcatura della
didattica per tempi bizzarramente lunghi, a volte pagati poco a volte
nulla. Che hanno prodotto ricerche buone e talvolta ottime. E che nel
frattempo si sono sentiti dire che era sempre troppo presto. Un’affermazione non strana in una (ex?) gerontocrazia. L’età media degli
strutturati universitari di ogni grado (maggio 2014) è 51 anni: alla
metà degli anni Ottanta, l’età media di un ricercatore era di 36 anni,
un associato saliva in cattedra a 44 e un ordinario a 52 (fonte: CRUI e
Rapporto CUN 2014).
Oggi questa generazione sempre troppo giovane scopre improvvisamente
di essere diventata troppo vecchia. Le parole d’ordine del giovanilismo –
segno distintivo della retorica politica degli ultimi tempi – prevedono
che i destinatari delle lacrime (di coccodrillo) e delle attenzioni
siano i giovani. Si intende, sotto i 29 anni (secondo le
facilitazioni previste dal pacchetto lavoro), o sotto i 35 (secondo i
criteri più elastici delle stesse università). Tutti gli altri sono una
zavorra di cui non si sa bene come disfarsi. Non è un caso che quasi
tutti i governi succedutisi ultimamente abbiano progettato almeno una
volta, nell’entropia delle riforme continue, di introdurre limiti d’età
per i concorsi. Quale migliore soluzione che risolvere il problema del
precariato sbarazzandosi per legge dei precari?
http://rassegnastampa.unipi.it/rassegna/archivio/2014/05/23SIY5134.PDF
RispondiEliminaparole sante... andatelo a spiegare a quelli di ROARS...
RispondiEliminaV.
A proposito di anzianità, vorrei chiadervi se è vero che i ricercatori a tempo indeterminato hanno la precedenza per le chiamate di professore associato rispetto ai ricercatori a tempo determinato (tipo A Gelmini). Se è vero dove sta scritto? Ci sono documenti al riguardo? Grazie in anticipo.
RispondiEliminanon sta scritto da nessuna parte.
Eliminacmq i tda non possono proprio essere 'chiamati'. al massimo possono fare un concorso come chiunque altro.
rti possono avere chiamata diretta fino a fine 2017.
cmq agli atenei interessa fare solo promozioni di strutturati e questo faranno fino a esaurimento dei suddetti
Un’analisi dei partecipanti della prima tornata ASN
RispondiEliminahttp://www.roars.it/online/unanalisi-della-prima-tornata-asn/
http://www.mediafire.com/download/68o1sioar8k88y5/Dati_ASN_12-Apr-2014.zip
oggi dovrebbero chiudere con la seconda tornata ma non si capisce bene se effettivamente sarà così!!
RispondiEliminahttp://ctzen.it/2014/06/04/unict-e-quel-posto-da-ricercatore-illegittimo-il-tar-sconfessa-i-membri-della-commissione/
RispondiEliminaTutto molto giusto, tranne un punto: ci vuole il coraggio di alzare la testa e rivendicare un atto normativo di regolarizzazione, un "colpo di spugna" se preferiamo, non come gratifica, ma come ratifica. Molti di noi hanno dedicato anni all'Università ricevendone poco o nulla e - nel momento in cui le regole sono costruite pensando (giustamente) agli under 30 - è giunto il momento di rivendicare il riconoscimento per un lavoro di qualità svolto da tanti e tante spesso in silenzio, spesso senza nessuna prospettiva.
RispondiEliminaNon ho in mente una di quelle sanatorie omnibus degli anni '70 e '80 (quelle che hanno portato in cattedra Brunetta, ad esempio, ed altri come lui, senza uno straccio di concorso) ma un percorso politico-parlamentare trasparente, adeguatamente selettivo senza essere clientelare, eticamente e culturalmente motivato. Razionale, senza vittimismi o senza pressapochismi. Che immagino in 4 step:
1. Mappare il fenomeno. Individuare di quanta gente stiamo parlando, alla luce di un criterio selettivo sufficientemente lasco da essere includente e rappresentativo, ma abbastanza serio da impedire l'inclusione di chi ha insegnato 20 minuti o pubblicato una tesina di 3 pagine e poi stop. Questo serve a capire anche quale potrebbe essere l'impatto sulla pubblica amministrazione di un provvedimento di regolarizzazione dei precari
2. Definire strategie di intervento nel processo legislativo (lobbying) e strategie di grassroots per creare il consenso necessario anche nell'opinione pubblica verso un atto di stabilizzazione del precariato
3. Evitare di perdere tempo con i sindacati tipo FLC CGIL. Quando nello stesso carrozzone ci stanno il barone ordinario, il burocrate tecnico amministrativo e il docente precario, questo sarà sempre la parte debole
4. Essere sempre consapevoli che nel nostro Paese le cose giungono solo quando vengono rivendicate con forza e che quanto si mira ad ottenere non è un atto clientelare, ma un atto dovuto ed è comunque insufficiente a ripagare interamente il passato. Andare fieri di quanto si è fatto, le Cenerentole non vengono mai prese sul serio...
Infine - direi - basta autocommiserazione e piagnisteo...
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