sabato 29 ottobre 2011

E' ufficiale: concorsi ad personam!


La Riforma Gelmini era stata annunciata come una riforma epocale, capace di portare finalmente l'università italiana in Europa, introducendo maggiore competizione, meritocrazia e trasparenza nel reclutamento.

La realtà che si presenta oggi appare invece di tutt'altro segno. Sembra ormai cosa ufficiale: le posizioni di ingresso nell'università italiana - i ricercatori a tempo determinato - sono assegnate ad personam, su profili dettagliati alla portata solo dei "predestinati" vincitori.

Dei 113 bandi presenti nel sito bandi.miur.it ben 72 (circa il 63%) sono infatti banditi con indicazione di progetti di ricerca dai contenuti quasi sempre molto specifici, un pò come avviene già con gli assegni di ricerca. E tutti sanno che gli assegni di ricerca sono attribuiti ad personam, con pochissime domande, spesso soltanto quella del vincitore; quindi tutto lascia presumere che anche per questi posti di ricercatore a tempo determinato non ci sarà competizione tra candidati. Farà domanda chi ha il profilo corrispondente al progetto di ricerca indicato.

Il bello (per modo di dire... in realtà è tutto molto sconfortante) è che dalla scheda di ciascun bando presente sul sito non si evince neppure se esista davvero una fonte esterna di finanziamento che giustifichi l'indicazione di un progetto di ricerca o se questi posti siano banditi con risorse del Fondo di Finanziamento Ordinario.

In Italia non c'è mai limite al peggio. Il MIUR deve intervenire al più presto, quantomeno per imporre alle università una più severa autoregolamentazione nella gestione del reclutamento dei ricercatori a tempo determinato, obbligandole a indicare eventuali fonti esterne di finanziamento nel caso in cui nel bando ci fosse un progetto di ricerca già delineato nei particolari.

giovedì 20 ottobre 2011

Abilitati (solo) con i capelli bianchi


Nei giorni scorsi è circolata in modo informale la bozza del “Regolamento recante criteri e parametri per la valutazione dei candidati ai fini dell’attribuzione dell’abilitazione scientifica nazionale” a cura del Ministero dell’Università e della Ricerca (MIUR).

APRI – Associazione dei Precari della Ricerca Italiani – ritiene che tale documento contenga alcune disposizioni che meritano un giudizio senz’altro positivo, a partire da quelle che impongono una maggiore trasparenza e obiettività al lavoro delle commissioni giudicanti. In particolare, si apprezza, nei settori disciplinari in cui ciò è possibile, l’uso degli strumenti bibliometrici, sulla base delle indicazioni fatte pervenire dall’Agenzia di Valutazione del Sistema Universitario (ANVUR).


Al di là di questi aspetti positivi, APRI non può tacere le forti perplessità suscitate dall’articolo 3., comma 4, della bozza in cui si dice:

Nella valutazione di candidati già in servizio come professori associati o ricercatori o in posizioni equivalenti all’estero, fatta salva la considerazione complessiva dei titoli di cui all’articolo 4, comma 4, e all’articolo 5, comma 4, sono prese in considerazione esclusivamente le pubblicazioni prodotte dopo la nomina nella posizione in godimento”.

In altre parole, saranno prese in considerazione ai fini dell’abilitazione soltanto le pubblicazioni prodotte dal momento di entrata in ruolo. Tale norma spiana la strada a coloro che sono in ruolo da più anni, escludendo di fatto i neo-ricercatori (a tempo indeterminato e tempo determinato) dalla possibilità di conseguire l’abilitazione fin dalle prime tornate, pur avendo raggiunto una maturità professionale e scientifica adeguata. Evidentemente, dubitando della capacità di imporre una selezione basata su criteri scientifico-meritocratici, il MIUR ha preferito affidarsi ai più rassicuranti meccanismi gerontocratici di riproduzione della classe docente italiana; gli stessi che per anni hanno regolato il funzionamento dell’università italiana. È desolante constatare come ciò avvenga a dispetto delle reiterate promesse di Riforma del sistema e di rinnovamento generazionale.

Come APRI continuiamo a sostenere il principio secondo cui la selezione per l’abilitazione debba tenere conto della produzione scientifica recente, per esempio degli ultimi 5 anni nel caso della abilitazione a professore associato e dei 10 anni precedenti nel caso della abilitazione a professore ordinario. Tale principio di valutazione (peraltro contenuto anche nel parere dell’ANVUR in merito ai criteri di abilitazione nazionale) consente di selezionare i ricercatori che hanno dimostrato di essere adeguatamente produttivi in un recente periodo, di durata sufficiente a garantire la necessaria esperienza richiesta per il ruolo per cui si fa domanda di abilitazione.

Al contrario, la norma contenuta nell’articolo 3. della bozza ministeriale penalizza gravemente i giovani precari della ricerca, che devono già sostenere un percorso di carriera accidentato, dagli esiti assolutamente incerti e ancora oggi purtroppo largamente indipendenti dal merito scientifico. Entrando in vigore tale norma, i tempi di accesso a una posizione stabile si allungherebbero inevitabilmente, con effetti disastrosi sul lungo termine di scoraggiamento nei confronti delle nuove generazioni che oggi intraprendono gli studi universitari di alta formazione.

In particolare, i giovani precari che avranno accesso alle posizioni di “tenure-track” previste dalla legge 240/2010 (nota come Legge Gelmini di Riforma dell’Università) dovranno condurre una lotta impossibile contro il tempo (meno di tre anni) per produrre pubblicazioni sufficienti a conseguire l’abilitazione, pena la loro esclusione definitiva dal sistema universitario. Tale situazione va confrontata con quella dei ricercatori a tempo indeterminato in ruolo da tempo, ai quali verrà concesso di presentare pubblicazioni e titoli accumulati nell’arco di anni se non di decenni.

Altro che tenure-track e carriera basata sul merito: questo è un invito chiaro e tondo a “lasciare ogni speranza voi che entrate” o, meglio, voi che volete entrare in questo sistema sempre uguale a se stesso nel tempo, dove tutto cambia perché nulla cambi.

martedì 4 ottobre 2011

La riforma Gelmini e il miraggio della tenure-track

Rispetto alla precedente "riforma Moratti" che aveva scatenato vibranti proteste da parte dei ricercatori precari perché eliminava il ruolo di ricercatore a tempo indeterminato senza proporre un percorso alternativo credibile di accesso permanente al ruolo, una delle novità dell’originario "Disegno di Legge Gelmini" (poi Legge 240/2010) era l’introduzione della “tenure-track”, ossia il percorso di accesso alla carriera accademica mutuato dal sistema accademico statunitense, per il quale a cinque anni dall’assunzione l’assistant professor è sottoposto a una valutazione del proprio operato e in caso positivo è assunto come associate professor, mentre in caso negativo deve trovarsi altra sistemazione.

I comunicati ministeriali (del MIUR) annunciavano trionfalmente l’introduzione di questo meccanismo in Italia, che avrebbe messo fine al fenomeno tutto italiano dei “ricercatori a vita” e adeguato il sistema italiano a quello internazionale (ormai sempre più paesi adottano tale sistema per rendere più selettivo e al tempo stesso più allettante l’accesso alla carriera accademica). Durante l’iter parlamentare, per effetto dell’operare congiunto delle solite forze oscure, la Commissione parlamentare del Senato incaricata di accompagnare il Disegno di Legge in Parlamento aggiunse alle posizioni “tenure-track” (3 anni e eventuale immissione in ruolo) delle altre “senza tenure-track” (3 anni rinnovabili per 2 e poi stop), di fatto assimilabili a posizioni post-doc con un po’ di carico didattico. Una bella fregatura per i precari e tutti quelli che aspirano a una posizione accademica in Italia. Anche se i comunicati ministeriali lo scorso dicembre, quando il disegno legge venne approvato definitivamente dal Parlamento, continuavano a sbandierare l’introduzione della tenure-track, la riforma Gelmini per chi è oggi fuori dal ruolo non fa che prospettare un futuro di ulteriore precarietà. Altro che tenure-track e sistema internazionale di reclutamento!

La “legge Gelmini” infatti non prevede alcun incentivo per gli atenei all’assunzione di Ricercatori TD con “tenure track”. A riprova di ciò basta scorrere i 78 bandi per ricercatore a tempo determinato oggi disponibili sul nuovo sito allestito dal MIUR (bandi.miur.it/jobs.php/public/cercaJobs). Di questi soltanto due sono per posizioni di ricercatore di tipo b) (con tenure-track), per di più di un Istituto di Studi Superiori, gli altri settantasei sono per ricercatori a scadenza.

Con la "riforma Gelmini" le prospettive di chi aspira a fare ricerca oggi in Italia dunque sono peggiorate sostanzialmente. L’introduzione della tenure-track rimane un miraggio riservato a pochi se non a nessuno, fino a prova contraria.