mercoledì 15 maggio 2013

Non è un paese per giovani





Una sentenza della Corte Costituzionale, recentemente celebrata in tutte le sue magnifiche virtù dal quotidiano La Repubblica ha cancellato una delle pochissime cose buone della cosiddetta riforma Gelmini (sì, proprio lei, quella del tunnel tra il Gran Sasso e Ginevra). La suddetta legge, oltre a rendere ancor più precaria la vita dei notoriamente fortunatissimi ricercatori italiani, prevedeva anche di non consentire ai Professori Ordinari di proseguire la propria attività di ruolo negli Atenei del nostro Paese oltre i 70 anni; prima di tale riforma infatti, era facile per queste figure proseguire fino ai 72 anni* col placet dell’Ateneo di appartenenza, di fatto impedendo la liberazione di risorse utili per il reclutamento di nuovi virgulti (talvolta magari già cinquantenni). La sentenza della Corte Costituzionale appena emessa sancisce che non se ne parla nemmeno di andare in pensione a 70 anni: crepino i giovani, ma il settantenne ha tutto il diritto di chiedere una bella estensione a 72 anni, e poi chissà, magari nel 2015 esce una legge che garantisce il posto a vita a tutti, e chi si è visto si è visto. 

Il massacro dei ricercatori precari italiani ha radici antiche però, che partono dalla riforma Moratti (annus domini 2005) e si ramificano con la suddetta riforma Gelmini, che ha abolito la figura del ricercatore a tempo indeterminato. Per non tediarvi però, vi descriverò l’approccio metodologico con cui i nostri illuminati governanti hanno smontato l’Università italiana pezzo per pezzo raccontandovi una storia molto verosimile (anche se di pura fantasia), che coinvolge Konstantin Novosëlov, premio Nobel per la Fisica nel 2010.

Pochi sanno che Konstantin, cittadino russo nato nel 1974 (quindi un ragazzino di 39 anni, se guardato dal punto di vista gerontocratico nostrano) volle venire a fare le proprie scoperte in una delle nostre Università nel 2004, e lì, in una città italiana che non specificherò, scoprì il grafene. Konstantin all’epoca aveva solo 30 anni, ed aveva accettato un contratto da assegnista a 1200 eur/mese. Uno stipendio molto basso, un contratto con contributi pensionistici ancor più bassi (quasi nulli), ma la speranza di diventare un giorno Ricercatore a tempo indeterminato grazie all’eccellenza delle proprie scoperte Konstantin aveva tutto il diritto di coltivarla. Non sapeva però che Letizia Moratti era in agguato: l’approvazione della sua riforma nel 2005 crea una figura di ricercatore a tempo determinato che, a fine assegno, rappresenta per Konstantin l’unica speranza di proseguire nel proprio percorso accademico. Anche perché frattanto il suo professore di riferimento, ovviamente novello settantaduenne, ha preferito far vincere un concorso a tempo indeterminato ad un ricercatore con un paio di pubblicazioni su Topolino, ma che cucina benissimo quando ci sono le feste con gli altri ordinari a casa sua. Konstantin prosegue, e nel 2010 vince addirittura il Nobel per la sua scoperta di qualche anno prima.  

Nel frattempo, il nuovissimo Ministro Gelmini ha pensato bene di eliminare la figura del ricercatore a tempo indeterminato! E’ vero, la stessa legge prevede una nuova figura di ricercatore a tempo determinato, che a seguito di valutazione positiva delle attività di ricerca e didattica, dà luogo all’assunzione come professore associato dopo un triennio. Il nostro eroe quindi attende che tali posizioni vengano bandite, ma purtroppo nella sua area nemmeno l’ombra di un bando compare dal 2010 al 2013. Eh sì, perché di questi bandi ne sono usciti sì e no una trentina in tutt’Italia, e nessuno nel settore scientifico di Konstantin. Il quale per la verità aveva pensato di fare un’application per la posizione bandita più affine alle proprie competenze (un bando per ricercatore di Numismatica Etrusca presso l’Ateneo telematico milanese “Nerone”: www.uninerone.it), ma poi pensandoci bene aveva lasciato stare. E dopo la sentenza della Corte Costituzionale citata ad inizio articolo, Konstantin si arrende, prende un biglietto aereo e vola a Manchester, dove lavora attualmente. Perché di accettare un nuovo assegno di ricerca a 40 anni, e pagare con i propri contributi da fame le pensioni dei novelli settantunenni scienziati, Kostantin non ha e non avrà alcuna voglia.

W l’Italia! 

p.s.

La legge da facoltà agli atenei di valutare caso per caso se concedere il biennio aggiuntivo ai docenti settantenni. Però, chissà come mai, nutriamo più di qualche dubbio sui criteri con cui verranno fatte eventuali selezioni, e c'è da temere che il biennio venga concesso a tutti o quasi, come era prassi fino a non molti anni fa. 
Cosa si può fare ora, per evitare un ennesimo colpo ad un sistema universitario già incredibilmente invecchiato e in cui il ricambio generazionale procede al ritmo di marcia di una tartaruga zoppa? Per esempio il MIUR potrebbe provvedere con norme che limitassero il ricorso al biennio aggiuntivo, magari avocando a sé la valutazione dei casi eccezionali (ma devono essere davvero eccezionali) in cui concedere tale privilegio.