mercoledì 30 luglio 2014

MINISTRO MADIA: BENE IL PREPENSIONAMENTO MA CHE DIVENTI OCCASIONE PER IL RICAMBIO GENERAZIONALE





La riforma della P.A. ora in discussione alla Camera introduce la possibilità di prepensionare i docenti universitari con piena anzianità contributiva al raggiungimento del 68esimo, e al 62esimo per i ricercatori, secondo l'ultimo emendamento.


Si tratta, a tutti gli effetti, di una norma che non danneggia i singoli che possono così ritirarsi con una pensione piena. Peraltro è un età coerente con le politiche comunemente diffuse sul continente europeo, dove i 65 anni sono l'età media per la pensione dei docenti universitari.

Sappiamo (anche se alcuni fingono di dimenticarlo) che, secondo tutti i dati a disposizione, l'Italia ha la popolazione accademica più vecchia d'Europa e che da molti anni il ricambio generazionale è ridotto al lumicino. Dunque il prepensionamento - non ledendo i diritti dei singoli - potrebbe offrire una boccata di ossigeno alle generazioni più giovani, contribuendo a svecchiare l'intero sistema. 

Abbiamo scritto potrebbe, perché il problema è che attualmente il turnover è vincolato al solo 50% delle risorse. Quindi, con gli attuali equilibri il prepensionamento comporterebbe una perdita secca di metà delle risorse per il sistema tutto. 

Ci sono parse lucide e ispirate le recenti dichiarazioni del Ministro Madia che ha osservato come sia necessario un innalzamento del turnover per i comparti di Università e Ricerca, da troppo tempo penalizzati da politiche miopi. Speriamo dunque che trovino attuazione al più presto. 

Dall'alto lato della barricata, vecchi e illustri studiosi si sono espressi con veemenza contro questa norma, lamentando ad esempio che ci sarebbe una perdita secca di cultura e di competenze. Crediamo non sia così, perché tutti sono utili e nessuno è insostituibile, perché ci sono tantissime competenze ed energie soffocate tra i giovani che potrebbero e dovrebbero essere liberate, perché infine nulla vieta ai prepensionati di continuare a collaborare in altre forme allo sviluppo della ricerca, magari in qualità di professori emeriti. 



Pertanto chiediamo: 

1. Di non arretrare di fronte alle reazioni baronali e di perseguire coerentemente la strategia del prepensionamento. 

2. Di rendere il suddetto prepensionamento obbligatorio e non facoltativo come è attualmente nel testo della riforma della P.A. 

3. Di vincolare le risorse così liberate all'assunzione di Ricercatori a Tempo Determinato di TIPO B (con tenure track). 

4. Di liberare il turnover, tornando al 100%. 



In assenza di queste misure il prepensionamento rischia di essere non una mossa utile per migliorare e ringiovanire il sistema della ricerca, bensì l'ennesimo colpo ad un apparato universitario da anni martoriato dai tagli.




venerdì 18 luglio 2014

I falsi amici dei ricercatori precari



In linguistica si dicono falsi amici tutti quei lemmi o frasi di una certa lingua che, pur presentando una notevole somiglianza morfologica e/o fonetica e condividendo le radici con termini di un'altra lingua, hanno preso significati divergenti.


Anche i ricercatori precari sono circondati di “falsi amici”: in particolare, coloro che mentre affermano di volerne difendere le istanze, in realtà sono impegnati a promuovere la causa di soggetti già garantiti da contratti a vita, che in tutta evidenza precari non sono, come i ricercatori universitari a tempo indeterminato preesistenti alla “riforma” della Legge Gelmini.
Nei giorni scorsi la FLC, l’organizzazione sindacale appartenente alla CGIL che si occupa di scuola e università, ha diffuso i risultati di un’indagine sui “percorsi di vita e lavoro nel precariato universitario” nella quale i ricercatori a tempo indeterminato sono accostati a ricercatori a tempo determinato, assegnisti, dottori di ricerca e ricercatori con contratti di lavoro parasubordinato. Tale indagine è stata ampiamente ripresa da grandi quotidiani nazionali come La Repubblica e Il Sole 24 Ore.


Oltreché evidentemente scorretta dal punto di vista metodologico, tale da pregiudicare l’affidabilità dell’indagine, l’inclusione dei ricercatori a tempo indeterminato nell’universo del precariato universitario desta sospetti sulle reali intenzioni del sindacato in questione. La FLC ha a cuore veramente le sorti dei ricercatori precari o li utilizza come portatori di acqua per sostenere la promozione in massa dei ricercatori a tempo indeterminato che avrebbe l’effetto di sbarrare definitivamente l’ingresso dei ricercatori precari stessi nell’università?