lunedì 11 febbraio 2013

Le risposte del Partito Democratico ai 10 punti di APRI

Segnaliamo la cortese e articolata risposta al nostro appello -Per ridare speranza alla ricerca. Decalogo APRI per le forze politiche”  - inviata da Maria Chiara Carrozza, presidente del Forum Università e Ricerca del PD e direttore della Scuola Sant’Anna di Pisa.

 Come si può leggere, appare chiaro che da parte del Partito Democratico vi sia la chiara intenzione di rilanciare il sistema universitario italiano, nonostante le note difficoltà nel reperimento di fondi dovute alla severa congiuntura economica italiana. Ci auguriamo però che il PD possa esprimere una risposta più articolata sulle strategie che intenderà adottare per il reclutamento di nuove leve, anche e soprattutto in termini di allocazione delle risorse da dedicare ai precari meritevoli.
In particolare, attendiamo ancora una risposta sul punto 2. riguardante il “ricambio generazionale” e la relativa proposta di bilanciamento delle quote di strutturati e non strutturati, che per noi costituisce un punto fondamentale delle nostre richieste alle forze politiche. Se si evita di parlare di reclutamento e in particolare di apertura del reclutamento ai ricercatori non strutturati, dopo che gli attuali “piani straordinari per professore associato” sono stati concepiti a beneficio pressoché esclusivo dei ricercatori a tempo indeterminato, tutto il resto rischia di assumere un’importanza secondaria.  


Ecco la risposta della professoressa Carrozza:


Gentile Presidenza dell’APRI,
abbiamo letto con attenzione il vostro contributo alla definizione di un programma per l’università e la ricerca italiana. Siamo convinti che il dialogo tra la politica e i ricercatori non sia una opzione tra le altre, ma il punto essenziale per l’elaborazione di provvedimenti condivisi. Per questo è fondamentale il lavoro di ascolto di realtà come la vostra, che abbiamo cercato di intraprendere in questi anni con il Forum Università e Ricerca del Partito Democratico, e che riteniamo essenziale per l’azione di governo.
Partiamo da alcune considerazioni di fondo per discutere in seguito, nello specifico, alcune tra le vostre proposte. Davanti alla fallimentare esperienza della “riforma Gelmini”, è essenziale riconoscere che il cambiamento nel campo dell’istruzione e della ricerca non può giungere da un attacco continuo, e spesso propagandistico, alle persone impegnate nelle istituzioni della conoscenza. Né può giungere da un impianto normativo sempre più burocratico, ipercentralista e iperdirigista, che, specie a partire dal 2008, è stato esclusivamente funzionale all’obiettivo dichiarato di indebolire il sistema pubblico dell’istruzione superiore, ritenuto – a torto – troppo dispendioso e troppo diffuso territorialmente. Il cambiamento viene piuttosto da un’analisi schietta (perché la crisi ce lo impone) delle patologie e delle difficoltà, per elaborare una diagnosi, per trovare una cura e soprattutto per determinare il rilancio dell’università e della ricerca.
Sappiamo che l’orizzonte europeo sarà fondamentale per il governo che uscirà dalle urne a fine febbraio. La Strategia Europa2020 punta al raggiungimento del 40% di laureati entro il 2020, mentre noi siamo poco sopra il 20%, contro una  media europea di circa il 32,5%.; ci chiede di arrivare a meno del 10% di dispersione scolastica, e noi siamo vicini al 19%, con punte molto più alte nel Sud e nelle isole, mentre la media europea è al 14%. Il Piano Nazionale di Riforma 2011 indica obiettivi inferiori rispetto non alle ambizioni europee per il 2020, ma alle medie europee del 2010: il 26-27% di laureati, il 15-16% di dispersione scolastica. Non dobbiamo mai dimenticare che “essere in Europa” significa essere all’altezza di questi obiettivi con le nostre politiche pubbliche. Non si tratta di perseguire obiettivi irrealistici, ma, mentre si parla di “crescita”, non perdere mai di vista, nell’azione di governo, il legame essenziale tra crescita, università e ricerca.  Che cosa significa, allora, “centralità dell’istruzione e della ricerca”? Come si evince dal Rapporto Giarda, l’Italia negli ultimi 20 anni ha ridotto enormemente il totale della spesa pubblica destinata all’istruzione, che è passato dal 23,1% della spesa del 1990 al 17,7% della spesa nel 2009 (-5,4%). Una pianificazione che è avvenuta in “deficit democratico”, perché non è mai avvenuta una scelta trasparente in merito a tale disinvestimento, che non ha paragone in nessun altro comparto della spesa dello stato. Per questo è necessaria, oggi più che mai, un’inversione di tendenza. Il nostro impegno sulle risorse è quello di una netta discontinuità, con un rifinanziamento pluriennale del sistema universitario per riequilibrare lo sciagurato ‘taglio’ del Governo Monti di 300mln di euro del FFO e ripristinare almeno la situazione del 2012 (circa 7mld di euro). È necessaria una graduale convergenza, con una progressione pluriennale, verso media UE.
Quest’inversione di tendenza deve investire le prospettive dei ricercatori che, come notate, hanno subito la riduzione dell’offerta formativa delle università, vedendo una crescita costante del precariato nella didattica e nella ricerca. L’elefante nella stanza, come ricordate nelle vostre considerazioni, è il blocco del turn-over. È perciò necessario intervenire su questo punto, ma nell’ottica di un cambio di prospettiva che prevede, su pre-ruolo, reclutamento e carriere, lo stop al precariato, contratto unico, un vera tenure track (problema essenziale che ponete nell’introduzione e al punto 4) e ruolo unico di docenza. Il nostro programma prevede una semplificazione delle figure pre-ruolo, concentrando tutte le figure post-doc in due tipologie: un Contratto unico di ricerca e posizioni di professore junior in tenure track (percorsi a tempo determinato che prevedano fin dall'inizio la possibilità di arrivare, previe periodiche valutazioni favorevoli, all'inserimento stabile nei ruoli universitari). È inoltre necessario sbloccare le risorse per i giovani e separare reclutamento e avanzamenti. Si deve investire sulla mobilità, estendendo progressivamente l’efficacia delle disposizioni anti inbreeding (come nel vostro punto 5), puntando verso un sistema di tipo tedesco e impedendo lo svolgimento di tutta la carriera sempre nella stessa sede. Dobbiamo assolutamente modificare gli attuali meccanismi di allocazione dei punti organico che favoriscono le promozioni dei candidati locali a scapito delle assunzioni di professori dall’esterno. Servono bandi nazionali per posizioni post-doc e di tenure track che offrano ai vincitori il budget economico e i fondi di ricerca, lasciando loro la possibilità di scegliere in autonomia l’ateneo presso il quale svolgere la propria attività (escluso l’ateneo di origine), consolidando il budget legato alla posizione nel FFO.

Per quanto riguarda i programmi di “rientro dei cervelli” che toccate al punto 2, si tratta di attuare programmi che possano definirsi di vera “circolazione dei cervelli”. Nel sistema globale e interconnesso della ricerca, l’attrazione non riguarda tanto i giovani “perduti” che “devono” tornare, ma i talenti di qualsiasi nazionalità che devono sentirsi accolti in Italia. Tra le nostre proposte (nel dettaglio qui in appendice, in un documento che contiene anche il programma ambizioso di potenziamento dell’Erasmus, che oggi interessa solo l’1% degli studenti italiani): Valorizzare in sede concorsuale, come già accade in alcuni settori, le esperienze di insegnamento e ricerca all’estero; incentivare gli insegnamenti in lingua straniera per stimolare le università a chiamare studiosi con esperienze in atenei e centri di ricerca stranieri; bandire posizioni nazionali per ricercatori post-doc (con possibilità di scegliere in autonomia l’ateneo presso il quale svolgere la propria attività) rivolti anche a studiosi stranieri; lavorare per l’equipollenza e riconoscimento dei titoli all’estero per i titoli accademici nello spirito di creare uno spazio europeo di istruzione superiore. Attivare un sistema di “cattedre condivise”, sul modello di quelli già esistenti in Paesi stranieri, nell’ambito del quale sia possibile assegnare a studiosi (italiani e stranieri) che insegnano presso università straniere una parte variabile di una cattedra. Rendere più competitivo il sistema dei compensi (il che si lega alla questione da voi posta al punto 6): previsione di basi retributive adeguate per tutte le attività post-doc, incremento della parte variabile della retribuzione dei docenti strutturati.

La vicenda dell’ANVUR, che a nostro avviso va affrontata tenendo conto della sproporzione tra i compiti dell’agenzia (che non hanno pari in altri paesi paragonabili al nostro) e il suo personale, oltre alla questione della dipendenza dal MIUR, va inquadrata in un’idea di valutazione che, proprio perché fondamentale, deve essere meno fondata sulla burocrazia. E correggere i difetti burocratici è essenziale anche per le questioni da voi poste, nello specifico, sulla ricerca. Facciamo un esempio concreto, che a nostro avviso punta a cambiare un sistema MIUR-MiSE con cui si scontrerebbero gli stessi uffici da voi proposti al punto 8. Come abbiamo spiegato nel dettaglio qui a partire dalle esperienze di ricercatori come voi, è essenziale adottare in Italia il “diritto alla semplicità”, basandosi sulle buone pratiche che caratterizzano le grandi agenzie di finanziamento della ricerca europee e straniere. Per esempio, nell’esperienza UE, i ricercatori si rivolgono a un unico portale, aggiornato e condiviso, per tutta la documentazione utile, a un solo portale per tutte le informazioni e gli strumenti utili, e possono presentare la proposta on-line, senza bisogno di firme. Durante la fase di valutazione della proposta, si dà maggiore importanza al contenuto tecnico-scientifico, alla proposta di implementazione e all’impatto atteso rispetto agli aspetti burocratici. È quindi essenziale superare l’ottica “ragionieristica” o “burocratica” e non improntato all’innovazione. Di conseguenza, sui deve cambiare profondamente l’approccio delle strutture ministeriali.
L’ultima vostra proposta (punto 10) è in linea con un elemento presente da tempo nel programma del PD (nel programma approvato dall’Assemblea Nazionale nel 2010, così come nelle raccomandazioni all’ultimo governo): l’istituzione di un’Agenzia di programmazione e finanziamento della ricerca che esprima le posizioni del governo e del parlamento sulle priorità della ricerca. L’Agenzia deve puntare sull’accelerazione delle procedure e sul rispetto dei tempi dei progetti di ricerca e deve svolgere allo stesso tempo un’attività di road-mapping università-politica-impresa. Necessita di funzionari di livello adeguato che siano formati sulla ricerca internazionale e abbiano conseguito il dottorato di ricerca. Dobbiamo inserirci in Europa, con un sistema di programmazione e finanziamento della ricerca adeguato ad un sistema europeo (e che quindi possa contribuire a una strategia rilevante per il punto 9). Lo European Research Council ci indica esattamente il metodo migliore da adottare per valutare e finanziare la migliore ricerca, che deve essere valutata per la sua eccellenza scientifica senza le assurde regole attuali applicate nelle selezioni dei PRIN. 

Ringraziandovi ancora per il vostro contributo, ribadiamo la nostra convinzione sulla necessità di ridare speranze e risorse a tutte le persone che “fanno” la ricerca italiana ogni giorno. Università e ricerca per noi non sono la “ciliegina sulla torta” o il “fiore all’occhiello” dell’economia italiana: sono e devono essere la base di ogni ragionamento credibile di governo sullo sviluppo e sul futuro del nostro paese. 

giovedì 7 febbraio 2013

PRIN 2012: un bando del passato, che va impugnato al TAR


Con Decreto Ministeriale del 28 Dicembre 2012, il Ministro Profumo ha disciplinato le procedure per il finanziamento da parte del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di progetti di ricerca di interesse nazionale (PRIN) 2012. Un’occasione importante per tanti ricercatori italiani, ma non per i nuovi ricercatori a tempo determinato previsti dalla cosiddetta “Riforma Gelmini”. La prima versione del bando, infatti, esclude completamente tale figura dai profili professionali che possano presentare autonomamente un progetto e richiedere così un congruo finanziamento delle proprie ricerche.
Tale situazione oggettivamente paradossale ha determinato una reazione da parte della comunità accademica e degli enti pubblici di ricerca italiani, che si è risolta in una rettifica del bando, pubblicata il 1° Febbraio mediante nuovo Decreto Ministeriale. Sorprendentemente però, saranno ora ammessi alla richiesta di finanziamento non tutti i ricercatori a tempo determinato, ma solo quelli più anziani di 40 anni. In un Paese come l’Italia, che ha assoluto bisogno di idee fresche da parte di ricercatori giovani e dinamici, le speranze di questi ultimi vengono troncate sulla base di irragionevoli criteri di anzianità che sembrano mancare non solo di basi logiche, ma anche di fondamento giuridico.

Di fronte a tale situazione, APRI annuncia ricorso al TAR: per preaderire al ricorso e ricevere le istruzioni operative, inviare una mail a presidente@ricercatoriprecari.it.

L’azione legale verrà effettivamente intrapresa qualora il numero di potenziali ricorrenti sia sufficientemente grande da permettere di mantenere i costi al minimo (non oltre i 70 euro per ogni ricorrente). I tempi molto stretti per la presentazione del ricorso non consentono attualmente di fornire ulteriori dettagli, ma i potenziali partecipanti che invieranno una email di interesse all’indirizzo sopra riportato verranno costantemente aggiornati riguardo ai vari passi intrapresi dall’Associazione.